La volpe non trovava più suo figlio nel bosco. A notte fonda uscì dalla macchia e lo cercò col fiuto. Infine lo sentì a due miglia di distanza. Il figlio era là, in quella casa. Ma come arrivarci senza farsene accorgere? Se il figlio si fosse messo a piangere sarebbero usciti i cani. La madre quatta quatta aggirò la casa, si portò sottovento, fu sull’aia. Vide il figlio e gli saltò addosso a mordergli la bocca perchè non urlasse. Gli addentò il collare per liberarlo, ma fu impossibile. Allora cominciò a piangere anche lei. Piangeva, per non farsi accorgere, sul nasetto del cucciolo, piano, piano, dolcemente come piangono le madri. Il figlio brontolò che aveva fame. E la madre corse al pollaio, scannò tre o quattro tacchini, gliene portò uno. Mentre il figlio mangiava la madre lo leccava, lo pulì tutto. Poi venne giorno. Bisognava partire.
– Tornerò tutte le notti – bisbigliava la madre leccandogli il musetto. Ma non sapeva come staccarsi dal figlio. Bisognava abbandonarlo, senza che questi piangesse. Allora le venne un’idea, e fece due o tre capriole per far ridere il cucciolo. Il cucciolo rise tutto felice agitando a festa la coda. La volpe spiccò un salto mortale all’indietro, un altro salto, un altro ancora. S’era così allontanata dal cucciolo d’ una ventina di passi, sì che il cucciolo la vedeva appena e già cominciava a guaire. La volpe si allontanò su per il vialone al trotto, finchè il figlio non la vide più.
Ma non era sparita. Quando il sole si alzò, lei era ancora lassù, seduta su un mucchio di sassi, che guardava il cucciolo. Questi, raggomitolato in terra, s’era messo giù a dormire con la gran coda sugli occhi, perchè non gli entrasse dentro il sole.