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Il dono del tempo – Massimo Bisotti

luceE’ troppo facile offrirsi agli altri
solo quando ne abbiamo voglia
e possibilità.
Non sono le ore morte
che dobbiamo dare agli altri,
sono le ore vive.
Ritagliare spazi
nelle ore dense, piene,
è il vero regalo.
E’ proprio quando siamo in difficoltà,
stretti da tremila impegni,
che doniamo senza scuse e giustificazioni,
senza comodità,
senza convenienze,
senza dimenticanze.
Doniamo davvero
quando l’altro ha bisogno,
non quando siamo liberi noi.
Altrimenti offrirsi diventa
ancora una volta
un prendere e un non dare.

(da “Il quadro mai dipinto”)

… l’attimo …

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La nostra esistenza è una somma di anni e questi anni sono un complesso di giorni,nei quali sono racchiusi milioni di attimi: non tutti pregnanti…anche per colpa nostra, che li gettiamo via, perchè gli attimi ci sembrano fatti di niente, invece, in ognuno di essi, è nascosto il segreto della felicità!
E’ infatti in un attimo che si decide come esistere, per chi esistere e non tanto per cosa…ed è in un attimo che scegliamo se “accendere” una vita o “spegnerla”, ed è ancora in un solo, piccolo, insignificante attimo che per gli altri diventiamo un’oasi di pace o un arido deserto, perchè ci poniamo nei loro confronti come oasi o come fardello.
Fermiamoci e pensiamo che è meglio rendere i nostri attimi unici, scegliendo di diventare, per chi si affianca a noi, seminatori di speranza.
Ogni nostro giorno, allora, non sarà più  una somma di momenti tutti uguali, ma verrà trasformato da “quell’attimo” nel quale ci saremo trasformati in  piacevoli compagni di quel viaggio che è la vita: dono unico, irripetibile e al quale non è giusto rinunciare solo perchè… per “un attimo”….abbiamo pensato, o abbiamo fatto pensare che… non ne valesse la pena…

Come un mendicante – Toukaram

abete con neve2

Signore, come un mendicante sto alla tua porta e ti imploro.
Mio Dio, fammi l’elemosina di un po’ d’amore:
lo riceverò dalle tue mani amorose.
Non permettere che ti invochi invano:
non ho alcun merito,
non possiedo nulla, non esigo nulla,
non domando che un dono gratuito.
Non lasciar cadere su di me il peso
schiacciante dei miei peccati:
nelle tue mani amorose rimetto
i miei innumerevoli errori.

Scusa e grazie – Rosangela Zavattaro Rastelli

scusa - grazie
Ci sono due parole “scusa” e “grazie”, che sembrano sparite dal vocabolario dei giovani e meno giovani ma soprattutto dall’abc del cuore. Di tutti. Sono, da sempre, le parole del perdono, e della gratitudine, della riconoscenza, o meglio del riconoscimento di aver ricevuto qualcosa da qualcuno, magari fin dalla nascita: dai genitori, dai nonni, dalla tata e poi crescendo, dall’amico, dall’innamorato-a, dal collega, dal sacerdote.
Una volta i genitori cercavano di insegnarle ai loro piccoli insieme all’amore, come un’altra faccia dell’amore o, semplicemente, come espressione di educazione, di una cultura della reciprocità e dell’altro come me.
Oggi…tutti hanno diritti e, fin dalla culla, tutto è dovuto. Sempre. Specie dai giovani, dai figli, proprio in quanto figli che “non hanno chiesto loro di venire al mondo” per cui anche il dono della vita diventa spesso una colpa dei genitori da dover scontare. Per sempre.
…Quante bocche serrate o insulti piuttosto che chiedere scusa. Quanti “scusa” e “grazie” non si sono mai pronunciati. Quanti silenzi offesi ed offensivi hanno creato muri tra le persone, fra i popoli, le nazioni e provocato perfino eccidi, distruzioni. Si è perso il senso elevato di queste parole che sono un gesto di pace e di riscatto, un tendere la mano, chiedere comprensione, e rafforzare legami, amicizie.
Di quanti “scusa” e “grazie” mai pronunciati si sono nutrite le separazioni, i divorzi, le fughe e forse, peggio ancora, certe vendette e raptus? La forza delle parole mai dette, è talvolta più dirompente di quelle urlate perchè il silenzio scava sotterranei, inguaribili solchi di incomprensioni.
Ricordo il motto scout di Baden Powell sulla gratitudine: ” Un dono non ti appartiene veramente finchè non hai ringraziato”.

La fede di Abramo

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Un nuovo giorno per una nuova fede: più forte, più certa, più coraggiosa; la fede di Abramo che ha dato tutto a Dio e spera e aspetta che Dio si ricordi di lui e quando lo fa non può però rilassarsi nemmeno un attimo, perchè quel dono che gli ha fatto, il figlio Isacco, lo rivuole indietro nel modo più atroce. Certo nel momento supremo del sacrificio gli si mostra e gli afferra la mano perchè non faccia del male a suo figlio, perchè era solo una prova! Dio prova il nostro amore, come un amante prova l’amore dell’amata, se riusciamo a darglielo tutto, senza tentennamenti, dubbi o quant’altro, Dio si mostra a noi in tutta la sua potenza, ma come è difficile fare ciò per il nostro cuore di carne, per i nostri occhi umani che vogliono vedere bene la strada che devono intraprendere, e difficilmente accettano di avanzare nel buio più totale e più assoluto. Quel buio ci viene dato per provare il nostro amore, la nostra fiducia e soprattutto la nostra speranza. Dio vuole che speriamo in Lui, solo in Lui, non nelle nostre abilità o capacità. Vuole che se anche stiamo camminando sul ciglio di un burrone crediamo che non cadremo, perchè Lui sicuramente ci sta sostenendo e mantenendo in equilibrio. Questa fede così pura, così adamantina è una conquista dovuta ad un esercizio quotidiano di fiducia e di abbandono nelle sue “materne e paterne mani”.

Il disegno di Dio

fiore azzurro
Dobbiamo imparare ad amarci, a stimarci, a non svenderci, in ciascuno di noi c’è il “disegno di Dio”, la sua impronta e noi dobbiamo fare come gli archeologi che quando trovano un reperto prezioso, lo recuperano dal terreno, lo “stimano”, lo ripuliscono e dato che vale, lo riportano alla luce e gli danno un posto d’onore in qualche museo. Così dobbiamo agire noi con la nostra persona e consegnare la nostra anima, il nostro cuore, gli spazi nostri più segreti a chi davvero merita “il dono di noi stessi”. Se impariamo a guardarci con occhi “positivi” lo stesso mondo che ci circonda ci apparirà diverso, e non avremo bisogno di andare a mendicare in giro: comprensione, accettazione, fiducia! Anzi riusciremo ad essere per gli altri un fonte di ottimismo e di amore, perchè verranno da noi per imparare a guardare la realtà circostante con uno sguardo diverso. Dobbiamo cessare di restare ostaggi di noi stessi, dobbiamo cessare di denigrarci, dobbiamo cessare di non sapere quanto valiamo e di andare da nostri “vicini” per chiedere “chi siamo e a cosa serviamo”.
L’amore, la fiducia, la stima “mendicati” sono come il cibo che non nutre, sul momento sembrano dare forza, ma poi si sgonfiano, svaniscono, e noi restiamo di nuovo soli e con tutte le iniziali perplessità sulla nostra persona.
Dio ha su di noi, sicuramente, un progetto di bene: guardiamoci allo specchio e diciamo: “Porta a compimento la Tua opera e rendimi ciò per cui mi hai creato: un anima per lodarti, un cuore per amare!”

Fiori di campo – L. Verdi

giunchiglia occhio
“Guardate come crescono i gigli dei campi:” Matteo non scrive come sono belli, ma come crescono i gigli dei campi. Un fiore di serra ha tutto prestabilito: seme, calore, acqua, concime. Ad un fiore di campo il seme lo porta il vento prende acqua e calore quando viene. La differenza è che un fiore di serra prende la vita come qualcosa di dovuto, un fiore di campo come un dono. Essere come i gigli dei campi vuol dire aprirsi alla bellezza del creato, vivere la vita come un miracolo che si ripete. E’ riuscire a dire ogni giorno al tuo compagno di viaggio: “E’ meraviglioso che tu esista.”